Quella della miniera di zolfo di Ca Bernardi è una storia poco conosciuta delle Marche, eppure per diversi decenni la miniera ha segnato la storia di tante famiglie e di un territorio, una storia che ora è stata riportata alla luce grazie all’impegno degli abitanti della piccola frazione di Sassoferrato.
Probabilmente quello del minatore non è uno dei mestieri che più si immagina legati alle Marche. Certamente per molti emigrati la miniera è diventata poi una realtà, come purtroppo testimoniano i 13 marchigiani dei136 minatori deceduti nella tragedia di Marcinelle in Belgio.
Quella mineraria è una storia poco conosciuta della regione, eppure territorio marchigiano ha ospitato per quasi un secolo una importantissima miniera di zolfo, minerale strategico specialmente durante la seconda guerra mondiale. Una miniera che dal 1887 fino a al 1959 ha segnato, nel bene e nel male la storia di un territorio.
Cabernardi: la storia della miniera
Il territorio tra la provincia di Ancona e quella di Pesaro tra Sassoferrato e Pergola, è ricco di zolfo, minerale la cui vena arriva fino alla Romagna. La scoperta del giacimento avvenne verso la fine dell’Ottocento, i primi sondaggi iniziarono nel 1870 e nel 1887 venne ufficialmente aperta la miniera di Cabernardi.
Il cambio di passo avvenne con il passaggio della miniera alla Montecatini nel 1917 che portò ad una innovazione sia nell’estrazione, sia nell’organizzazione del lavoro, sia nella condizioni di vita dei minatori.
Durante la Seconda Guerra Mondiale lo zolfo, elemento base della polvere da sparo, divenne ricercatissimo, anche perché il principale fornitore fino al momento, gli Stati Uniti, non poteva per ovvie ragioni più esserlo, e la miniera conobbe un’ulteriore incremento. Nel dopoguerra, la calante richiesta di zolfo, la minore disponibilità del minerale della miniera stessa e la ricerca di condizioni di lavoro più economiche, portarono la Montecatini ad un progressivo calo di interesse del sito e ad un suo smantellamento, che avvenne ufficialmente nel 1959.
Cabernardi: le dure lotte sindacali dei Sepolti Vivi
Nonostante il durissimo lavoro e la pericolosità che comportava il lavoro in miniera, le condizioni dei minatori di Cabernardi erano decisamente migliori rispetto ai loro colleghi del sud Italia (motivo per cui la Montecatini perse gradualmente interesse nel sito marchigiano cercando di spostarsi, come la storia ancora si ripete, in luoghi con meno regole, minore protezione dei lavoratori e costi di produzione più bassi.
La scelta dell’azienda provocò grandi proteste da parte dei lavoratori sfociati in scioperi e nell’occupazione della miniera nel 1952. Di quel periodo se ne occuparono i media nazionali e nel museo sono riportate le varie pagine dei giornali che denominarono la protesta lo sciopero dei sepolti vivi, dato che molti minatori rimasero per giorni sottoterra all’interno della miniera.
Nonostante le proteste dei minatori la miniera era destinata a chiudere, cosa che appunto avvenne nel 1959. La Montecatini, per evitare che i minatori riprendessero in mano l’attività, smantellarono le torri e coprirono tutta l’area con la terra, seppellendola praticamente.
Ca Bernardi oggi: la visita al Museo e il parco minerario
Grazie alla caparbietà degli eredi dei minatori, oggi la miniera di Cabernardi è rivenuta alla luce e la sua storia può essere conosciuta grazie al Museo, dove sono conservati oggetti, foto e dove viene spiegato il processo di estrazione dello zolfo e il parco minerario.
Gli scavi stanno riportando alla luce la miniera, ed è possibile vedere l’ascensore in calcestruzzo, grande innovazione per l’epoca, che conduceva ai minatoti alle gallerie sotterrane, la base della teleferica che collegava al cava al vicino paese di Bellisio Solfare per il trasporto del materiale, le diverse tipologie di forni per l’estrazione dello zolfo e si può entrare anche in una galleria di uno di questi.
Sotto al parco minerario si snodano chilometri e chilometri di gallerie, chissà se un giorno anche parte di queste potranno essere visitate.